Nell’ambito delle molteplici manifestazioni che riguardano l’abuso psicologico ed emotivo nelle relazioni, ed in particolare nelle relazioni affettive, rientra il fenomeno del gaslighting.
Così come in tutte le manifestazioni di abuso psicologico, anche il gaslighting ha lo scopo generale di trarre un vantaggio nella relazione mediante comportamenti come la squalifica e la svalutazione personale, l’invalidazione dell’equilibrio e delle capacità psichiche del partner. Nello specifico, il gaslighting rappresenta una forma di manipolazione psicologica in cui viene messa in dubbio la sanità mentale, la memoria e l’equilibrio emotivo della vittima.
L’origine del termine risale all’opera teatrale “gaslight” del 1938 di Patrick Hamilton e al film ispirato a tale opera “gaslight” (angoscia il titolo in italiano) diretto da George Cukor. Nel film, Charles Boyer interpreta il ruolo di un uomo che riesce a far impazzire la moglie (Ingrid Bergman) la quale giunge a non fidarsi più della realtà che percepisce. Il marito riesce in questo intento modificando all’insaputa della vittima vari elementi dell’ambiente, tra cui l’alterazione della luce delle lampade a gas dell’abitazione. Dal titolo inglese di questo film deriva il termine gaslighting per indicare una forma di abuso emotivo che si protrae nel tempo “in cui l’aggressore porta la vittima a mettere in discussione i propri giudizi, la realtà e, in casi estremi, la propria sanità mentale” (Stern, 2007).
La persona che agisce sistematicamente queste modalità, il gaslighter, manipola continuamente il dato di realtà agli occhi della vittima, facendo in modo che arrivi a mettere in dubbio la propria capacità di ricordare bene, di percepire correttamente l’ambiente esterno e di interpretare correttamente il comportamento degli altri, in particolare dell’abusante. Tutto ciò procura nella mente di chi subisce l’abuso una condizione di confusione.
Le azioni messe in atto dal gaslighter sono molteplici. Una di queste è negare la realtà, ovvero un comportamento francamente menzognero, con affermazioni di negazione rispetto a ciò che è accaduto in precedenza, ad esempio di non avere mai pronunciato certe parole o frasi che la vittima invece ricorda bene. Oppure, in altre situazioni il gaslighter tenta di invalidare le manifestazioni dei bisogni emotivi, come nei casi in cui minimizza l’opportunità di reagire ad un certo fatto o comportamento, che magari viene attuato intenzionalmente e provocatoriamente dal gaslighter, attribuendo alla vittima la colpa di esagerare e di fare delle questioni per episodi non rilevanti e minando così la certezza di interpretare correttamente i fatti appena accaduti e di saper reagire adeguatamente. Altre volte, in assenza di manifesta emotività o di segni di particolare rilievo, il gaslighter allude ad un possibile stato emotivo del partner andando in tal modo a falsificare la reale apparenza, con frasi come: “perché sei arrabbiato?”, “hai qualcosa?”, “che c’è che non va?”. In questo tipo di situazioni il gaslighter, oltre a far sentire in difetto la vittima, innesca un interesse artefatto simulando un’attenzione empatica verso l’altro riferendosi ad una presunta debolezza o fragilità con frasi come “sono preoccupato per te”, anche se in realtà niente farebbe pensare ad un reale bisogno di supporto. Nel manifestare tali preoccupazioni il gaslighter potrebbe anche alludere o fare leva su latenti o supposte fragilità della vittima con riferimenti ad aspetti fisici, relazionali, emotivi o anche di natura sessuale. In altre occasioni è la capacità della memoria ad essere nel mirino del gaslighter, quando vengono continuamente sottolineate ogni tipo di dimenticanza sia reale sia indotta falsamente attraverso riferimenti a fatti mai avvenuti.
Secondo Stern (2023) il gaslighting è un processo che nel tempo vede attraversare tre fasi: incredulità, difesa, depressione. La fase dell’incredulità si ha nei primi tempi in cui comincia a manifestarsi il comportamento abusante. Qui, il partner che si trova di fronte alle assurdità che sente affermare non si capacita e non riesce a credere a tutto ciò. Il protrarsi nel tempo di questi atteggiamenti, con accuse infondate cercando di far credere che c’è qualcosa che non va, rischia di causare confusione con l’insinuarsi dei primi dubbi circa la possibilità che il partner possa avere delle ragioni. Con la fase successiva, la difesa, si intensifica la confusione nella vittima che in qualche modo la porta a tentare di difendersi cercando di fare il possibile per essere migliore agli occhi del partner, sforzandosi di apparire adeguata, di far comprendere le proprie capacità e di ottenere in questo modo la sua approvazione. Tali tentativi risulteranno vani e otterranno solo un inasprimento delle azioni manipolative. L’ultima fase è quella della depressione. Con quest’ultima fase sopraggiungono disturbi psicofisici, ritiro sociale, evitamento di ogni possibilità di condividere la confusione interna della propria situazione. Viene abbandonato ogni tipo di difesa con la convinzione che effettivamente il partner ha tutte le ragioni rispetto alle affermazioni sul proprio conto.
In quanto forma di abuso emotivo e psicologico, il gaslighting può determinare conseguenze sulla salute mentale. Sono diversi i contributi della letteratura scientifica che mettono in evidenza, tra gli esiti più riscontrati in generale negli abusi di tipo psicologico: disturbi d’ansia e depressivi, fobie, disturbo di panico, disturbo dell’adattamento, calo dell’autostima, disturbo post-traumatico da stress, sintomi e disturbi psicosomatici, dolore cronico, fibromialgia.
Da un punto di vista giuridico, benché non esista una norma che tuteli da un punto di vista penale le vittime di gaslighting e in generale di abusi psicologici manipolatori, più frequentemente viene fatto riferimento come rilevanza giuridica del fenomeno all’art. 572 del Codice Penale, il quale riferendosi ai maltrattamenti in famiglia ben si adatterebbe, a giudizio di diversi esperti e avallato dalla giurisprudenza, alle condotte vessatorie e di violenza psicologica. Soprattutto se gli episodi riferibili all’abuso non restano isolati ma si inseriscono in una condotta sistematica di un quadro criminoso. Tali fattispecie potrebbero in sede civile trovare riconoscimento di danno non patrimoniale biologico di tipo psichico.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ESSENZIALE
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